Siamo pronti per lo smart working? Quattro domande per scoprirlo
Alzi la mano chi non vorrebbe avere orari di lavoro più elastici. O poter trascorrere più tempo con i propri bimbi. O passare meno ore nel traffico per raggiungere l’ufficio. O chi, tra le aziende, non vorrebbe poter contare su una forza lavoro più flessibile, avere meno costi in real estate, investire in innovazione per una maggiore produttività. Tutto questo parrebbe possibile con lo smart working, ormai da qualche tempo vero “trending topic” nelle Risorse Umane. Ma non è così semplice.
Ecco quattro domande per cominciare a vedere se il lavoro agile fa per voi, o per l’organizzazione che gestite.
- Siamo pronti per una cultura organizzativa basata sulla fiducia?
Si potrebbe pensare che questa sia una domanda rivolta solo alle aziende. Non è affatto così. È vero, fin dallo Statuto dei Lavoratori (1970) il controllo è uno dei temi più caldi nella relazione datore di lavoro/dipendente. D’altra parte, è innegabile che la fiducia preveda un rapporto di reciprocità. Laddove l’impresa si rende disponibile a essere meno rigida, chi lavora è davvero pronto a essere pienamente responsabile della propria produttività? In altre parole, quanto siamo davvero disponibili a essere pagati in base alla nostra permanenza fisica in ufficio, se l’alternativa è essere valutati sulla base dei risultati effettivamente portati?
- Siamo pronti a definire un nuovo rapporto tra persone e ambiente di lavoro?
Anche qui, l’interrogativo è per tutti. Le aziende devono saper far fronte all’eterogeneità dei luoghi di lavoro (con tutte le criticità correlate, ad esempio in termini di sicurezza). I collaboratori, dal canto loro, devono misurarsi al di fuori delle – se non amichevoli, quantomeno note – mura dell’ufficio.
Lavoro da casa o in mobilità e coworking portano senz’altro dei vantaggi. Si pensi solo all’eliminazione dei tempi morti del pendolarismo o al miglioramento dell’equilibrio vita privata/vita professionale.
Ma è anche vero che sapersi organizzare in autonomia e il mancato confronto con colleghi su base quotidiana richiedono un qualche allenamento. Senza contare lo smarrimento che si può provare di fronte alla frammentazione della cultura aziendale, non più vissuta in un unico spazio comune.
- Siamo pronti a puntare su nuove competenze?
Una domanda soprattutto per i responsabili delle Risorse Umane, che devono gioco forza fare leva sull’empowerment dei propri collaboratori. In altri termini, renderli protagonisti del cambiamento dando loro le risorse ma anche le gratificazioni necessarie perché questo accada. Nuovi criteri di selezione – le skill inevitabilmente varieranno – nuove modalità di valutazione, nuovi sistemi per creare engagement e aggregare interessi e motivazione pur in absentia. Con evidenti conseguenze anche in termini di employer branding e di posizionamento dell’impresa, non solo agli occhi di potenziali candidati ma anche di clienti, istituzioni, media.
Lato lavoratori, questo significa sapersi rimettere in discussione e sviluppare competenze che non necessariamente facevano parte del contenuto iniziale del ruolo. In una parola, sapersi reinventare.
- Siamo pronti tecnologicamente?
Gli strumenti non mancano e, diversamente dal passato, c’è anche una propensione molto più accentuata dei collaboratori a essere sempre connessi e sperimentare. Certo è, però, che non si tratta semplicemente di cellulari o computer portatili, ma di una più ampia gamma di tool che rendano davvero fluidi i processi interni. Videoconferenze, programmi di project management, sistemi collaborativi saranno la base per rendere il lavoro davvero agile.
Se la risposta a questi quattro quesiti è sì, allora andiamo incontro a un cambiamento macroscopico passibile di aprire nuove frontiere dell’efficienza. Quella dello smart working è una scommessa da accettare quando si è pronti, questo è certo; ma chi è disposto a puntare subito vincerà in termini di snellezza e velocità nel lungo termine.