Cambiare manager e cambiare allenatore: serve oppure no?
Il cambio del management in un’azienda, piccola o grande che sia, è sempre un momento delicato che genera profondi cambiamenti e necessita di un certo tempo per l’assestamento. Sicuramente, la modifica in un organigramma o di un team impatta sulla vita lavorativa di tutti in azienda, ma la domanda è: lo fa per il meglio o riduce, piuttosto, la produttività? Non è una questione semplice, questa, né facile da misurare. Eppure è una domanda interessante che può essere considerata per analogia.
Nella letteratura economica e finanziaria, esistono numerosi studi che si pongono l’obiettivo di stimare l’impatto del cambio di un manager sulle performance di un’azienda incontrando, però, diversi problemi. Innanzitutto, le stime calcolate sono sensibili alle misure di performance prese in considerazione, le quali sono rilevate in maniera soddisfacente nelle aziende quotate in borsa ma largamente ignote nelle aziende di dimensioni più piccole. In aggiunta, la tempistica con cui un manager è sostituito non è sempre chiara. Spesso, chi ha compiti dirigenziali all’interno di un’azienda non è allontanato, ma gli è conferito un incarico differente. Infine, le decisioni dei manager riguardo investimenti, assunzioni e strategie di azienda sono in molti casi sconosciuti, ma svolgono un ruolo fondamentale per i risultati di una società.
I dati dello sport, come sempre più avviene negli ultimi tempi, ci possono tuttavia venire in soccorso: in particolare, quelli del calcio.
Per certi aspetti, infatti, un manager che viene rimosso e sostituito da un altro è come un allenatore che affronta il rischio dell’esonero. Si parla sempre più di leadership, di motivazione: il vero capo è colui che sa tirare fuori il meglio dai suoi collaboratori, creando un gruppo unito nella mission.
E se questa mission è cercare di vincere una partita, allora i giocatori di calcio non sono troppo diversi, ognuno con il proprio ruolo, dal team di un’azienda che punta alla realizzazione di un progetto di successo.
I dati calcistici hanno quattro vantaggi, in particolare, per studiare questo fenomeno. Innanzitutto, la performance è misurata su base settimanale, attraverso tre semplici indicatori: vittoria, pareggio o sconfitta della squadra; le scelte dell’allenatore sono osservabili da tutti, per esempio vedendo i giocatori schierati e il tipo di gioco adottato; le competizioni calcistiche sono relativamente omogenee tra loro, confrontando tra loro squadre con gli stessi obiettivi; le caratteristiche importanti degli allenatori sono conosciute, come l’esperienza pregressa nello sport, l’età, e i risultati ottenuti in passato.
Sfruttando questa analogia, sono state fatte e pubblicate molte ricerche volte a testare il fenomeno dell’esonero. E su quest’ultimo sono state formulate tre teorie diverse.
La prima è la teoria del “senso comune”, secondo la quale un allenatore è il responsabile dei risultati deludenti di una squadra. L’esonero ha così lo scopo di dare un effetto positivo alla performance, portando idee nuove ed evitando gli errori commessi dal predecessore. Anche in questo caso, avviene pure nelle aziende che si tenti di dare una sterzata cambiando gli uomini al comando.
La seconda teoria è quella del “circolo vizioso”: nonostante l’esonero, la squadra continuerà a fare male, a causa della confusione all’interno delle relazioni societarie. Il cambio allenatore avrà un effetto destabilizzante, in negativo.
La terza teoria che tenta di spiegare il fenomeno dell’esonero prende il nome del “rito del capro espiatorio”. Esonerare un allenatore non ha alcun impatto sulla performance della squadra. Un tecnico è allontanato solo per placare l’animo dei tifosi e la pressione dei media.
In generale, i presidenti delle squadre di calcio, ma la stessa cosa vale in ambito aziendale, sembrano essere guidati dalla teoria del “senso comune”, visto l’altissimo numero di panchine saltate nelle massime competizioni europee.
Ma si tratta dell’approccio corretto? Sia un’azienda che una squadra di calcio hanno una partita da giocare, e da vincere
Dall’Argentina all’Inghilterra, dall’Austria al Belgio, dalla Colombia alla Germania, dalla Spagna all’Italia, dalla Norvegia all’Olanda [1], i risultati parlano chiaro: esonerare l’allenatore non serve. Tutti gli studi sono d’accordo nel quantificare in nullo il contributo di un esonero nel migliorare le prestazioni di una squadra, validando così la teoria del “rito del capro espiatorio”. In alcuni casi, addirittura si rivela un lieve peggioramento dei risultati, confermando l’ipotesi del “circolo vizioso”. In pochi altri, i risultati migliorano nel brevissimo termine, probabilmente per effetto di una bomba di adrenalina motivante, ritornando al loro corso naturale dopo poche partite, giusto in tempo per giustificare l’ipotesi del “senso comune”.
La performance dell’allenatore è misurata attraverso diversi indicatori: il numero di punti guadagnati in ogni partita dalla squadra, il numero di gol segnati e il numero di gol concessi. Un primo approccio consiste nel confrontare quanto ottenuto dal nuovo allenatore rispetto a quello precedente. In media, come emerge da alcuni di questi studi sulla serie A degli ultimi anni, un nuovo manager sembra ottenere più punti per partita rispetto al precedente (1.122 contro 0.994), portando la propria squadra a segnare più gol (1.150 contro 1.023) e concederne meno (1.455 contro 1.509, sebbene quest’ultima differenza non sia statisticamente significativa). Sulla base di questi dati, si potrebbe concludere che l’esonero di un allenatore di una squadra in serie negativa possa condurre a risultati migliori.
Ma è davvero così o potrebbe trattarsi di una sorta di illusione ottica?
I risultati del campo possono essere influenzati da diversi fattori, che non sono presi in considerazione da un approccio comparativo naive. Innanzitutto, il nuovo allenatore e quello precedente non giocano contro gli stessi avversari, né un nuovo management ha per forza di fronte le stesse sfide di quello precedente.
Ad esempio, è possibile che l’allenatore esonerato abbia iniziato la stagione affrontando gli avversari più forti, mentre il nuovo si trova lungo il percorso avversari meno forti. Oppure che il management abbia dato vita a un’opera di risanamento lacrime e sangue i cui effetti si vedranno solo in un futuro più lontano.
Un altro aspetto chiave è un fenomeno statistico, denominato ‘regressione verso la media’. Cosa significa? Significa che, spesso, un allenatore è rimosso dopo una serie di sconfitte, anche lunga, la quale può semplicemente interrompersi con un evento positivo e una tendenza delle osservazioni successive ad accostarsi alla media.
Pensate a Frank De Boer, allenatore – manager dell’Inter. Fino alla settimana scorsa era sulla graticola, in predicato di esonero e criticato fortemente dalla stampa. Poi ha messo a segno tre vittorie consecutive, una contro la corazzata Juventus, e tutti lo osannano, con gli stessi uomini a disposizione di prima.
Quindi, cambiare allenatore o management può essere del tutto inutile?
A rendere la risposta alla domanda ancora più difficile (e stimolante a un tempo) è una ricerca pubblicata nel 2015 da Gerd Muehlheusser e colleghi, i quali accorrono in soccorso dello Zamparini [2] di turno. Utilizzando dati relativi al campionato tedesco, dal 1993 al 2010, i ricercatori hanno tentato di approfondire la questione sull’efficacia del cambio del tecnico, indagando la diversa qualità dei calciatori all’interno di una squadra.[3]
Insomma, come è composto il team? Chi lavora insieme ha le stesse caratteristiche oppure c’è qualche top player circondato da volenterosi ma modesti mediani alla Ligabue?
Quanto è omogenea una squadra, di calcio o di lavoro che sia?
Nello studio citato, a ogni calciatore, per ogni squadra, è stato assegnato un valore in una scala da 1 a 10 punti, con un maggior valore che indica una miglior performance. In questo modo si è potuto calcolare quale fosse l’eterogeneità all’interno delle squadre. Alcune, infatti, mostrano una notevole differenza tra il calciatore peggiore e quello migliore, mentre altre sono più omogenee. I risultati della ricerca mostrano come la sostituzione di un allenatore possa avere risultati positivi proprio nelle squadre più omogenee. Tornando nel contesto aziendale, lavorate molto sulla squadra, dunque, una volta di più: comporre il team e scegliere i suoi membri nel modo giusto può essere fondamentale anche nell’eventualità di un cambio di management.
E voi siete pronti a giocare la vostra partita?
[1] Per una rassegna sulla letteratura si veda Van Ours, J., Van Tujil, M., (2015), “In-season head-coach dismissals and the performance of professional football teams”, Economic Inquiry, Early View Online
[2] Il presidente del Palermo, famoso per la sua tendenza a esonerare facilmente un tecnico.
[3] Muehlheusser, G., Schneemann, S., Sliwka, D., (2015), “The impact of managerial change on performance. The role of team heterogeneity”, Economic Inquiry, Early View Online