Ma davvero le macchine ci porteranno via il lavoro?
La storia ripropone spesso le stesse domande e ci pone di fronte a scenari già visti. La paura che le macchine tolgano agli uomini il lavoro non è nuova, infatti, ma oggi siamo di fronte a innovazioni che potrebbero renderle in grado di fare pressoché tutto, meglio di noi e a un costo molto più basso. Sarà la fine del lavoro o soltanto quella del mondo come lo conosciamo?
Non è certo che sia mai esistito davvero, il leggendario Ned Ludd, un giovane inglese che nel lontano 1779 distrusse un telaio in segno di protesta, dando il nome al movimento luddista, che a breve avrebbe imperversato con le sue proteste contro le macchine industriali. Questi mostri meccanici, nelle paure degli operai salariati, avrebbero tolto lavoro e gettato i ceti più bassi nella miseria nera. All’epoca i lavoratori salariati erano pesantemente oppressi dai loro padroni che li sfruttavano in modo disumano, e la rivoluzione industriale li gettò nello sconforto più nero perché quelle macchine li superavano di gran lunga nella sola cosa che sapevano fare, abbattendo i costi e migliorando la prestazione. Come andò davvero è sotto gli occhi di tutti, anche se la crisi in cui ristagniamo ormai da quasi un decennio non ci consente di affermare che tutto abbia funzionato in modo ineccepibile. Sta di fatto, tuttavia, che le macchine non hanno mai rappresentato una minaccia per il lavoro degli uomini, benché abbiano colpito a più riprese quei lavoratori che non sapevano o che non volevano fare altro.
Possiamo interrogarci a lungo, sulla questione dell’uomo e del lavoro. Da sempre questa materia trova spazio nei libri di filosofia, in quelli di sociologia, di antropologia e di moltissime altre discipline legate al genere umano, perché uomo e lavoro sono sempre apparsi come un binomio inscindibile. Ma è davvero così? Possono esistere scenari diversi, in cui l’uomo non debba lavorare per sopravvivere?
Quella delle macchine e delle tecnologie, in fondo, potrebbe anche essere una storia con un finale del tutto inaspettato, se smettiamo di aver paura di loro e ci sforziamo di guardare i possibili scenari. Ma dov’è che stiamo andando? Per molti sembra ancora fantascienza, ma a breve avremo macchine che non hanno bisogno dell’uomo per funzionare, che si calibrano e si riparano da sole e che addirittura sono in grado di elaborare informazioni e prendere decisioni autonome.
Questo non significa che esse non avranno più bisogno degli uomini, ma di certo non serviranno più decine di persone per farle funzionare, solo pochi tecnici iperspecializzati in grado di far funzionare altre macchine, molto più complesse, per gestire ogni fase e ogni processo. Siamo entrati in un’epoca in cui l’uomo aumenta le sue capacità attraverso le macchine, che a loro volta possono svolgere ulteriori processi di miglioramento grazie alle loro enormi capacità di calcolo e, sempre più, grazie a sorprendenti capacità cognitive, fino a pochi anni fa inimmaginabili.
Le macchine saranno i nostri nuovi servitori, gli schiavi che faranno per noi qualsiasi cosa, ma questo ci costringerà a concentrarci in modo definitivo sulla più antica questione, sin qui mai risolta: qual è il senso del genere umano? Perché veniamo al mondo e qual è la nostra missione? Per molti, nel corso della storia, il senso era quasi completamente nel lavoro, indispensabile per far vivere o sopravvivere la propria famiglia. In passato si lavorava per produrre direttamente quello che serviva, poi per guadagnare i soldi necessari ad acquistarlo. L’invenzione del denaro, però, non ha risolto il problema alla radice. Oggi se vogliamo mangiare un pollo non ci serve più cacciarlo o allevarlo, ma ci basta andare al supermercato e acquistarlo già morto, pulito e pronto per essere cucinato. O addirittura già cucinato. Per averlo, però, dobbiamo tirare fuori dalle tasche dei soldi, che possiamo procurarci soltanto se lavoriamo (o quasi). Ma se le macchine lavorano al posto nostro chi ce li darà più, i soldi? E a fronte di cosa?
Quello che oggi non riusciamo a vedere è il cambiamento nella sua interezza. Come accadeva ai nostri antenati, tre o più secoli fa, anche oggi siamo in grado di vedere soltanto le tecnologie e le innovazioni che stanno arrivando, ma non le conseguenze della loro introduzione e i cambiamenti che esse inevitabilmente genereranno. La sola cosa che sappiamo fare è proiettarci nel futuro con gli occhi del presente, arrivando a temere che: le macchine faranno tutti i lavori, nessun uomo dovrà più rimboccarsi le maniche o alzarsi all’alba per andare a lavorare e nessuna azienda lo pagherà per non far nulla, quindi l’uomo sarà povero e non potrà più nemmeno mangiare.
A chi farebbe comodo, un mondo così? Pensiamo davvero che le aziende, che stanno investendo miliardi per arrivare a produrre e a mettere all’opera quelle macchine, lasceranno che esse distruggano la società e il mondo in pochi mesi o addirittura giorni? No, ovviamente questo non accadrà, perché le macchine non toglieranno il lavoro agli uomini, ma li costringeranno a guardarsi dentro e a capire, una volta per tutte, che nessun essere umano è soltanto un cacciatore, un agricoltore, un artigiano, un operaio o un autista di autobus o taxi. Queste persone, se non sapranno andare oltre, perderanno il lavoro e la dignità, ma la colpa non sarà mai delle macchine o del progresso tecnologico, bensì della loro incapacità di adattarsi ai cambiamenti e di trovare nuove strade e nuove idee.