Sammy Basso. Quando diversità fa rima con normalità
Raccontare di Sammy potrebbe essere la cosa più difficile del mondo. Anche raccontare di una serata Centodieci è Ispirazione con Sammy non è una delle cose più semplici. Si rischia sempre di perdere qualcosa, di non trasmettere appieno l’emozione che ne deriva, di non arrivare al suo valore profondo.
Eppure a ben guardare, non dovrebbe essere difficile. «Mi chiamo Sammy Basso, sono un ragazzo veneto di 20 anni» comincia sempre così sul palco, nella maniera più semplice possibile, e in un secondo abbatte ogni pregiudizio che la platea può avere.
Sì, perché spesso quando ci si avvicina a Sammy lo si fa con un po’ di “compassione”, quella sorta di sentimento naturale che si ha nei confronti delle persone meno fortunate di noi, si dice. Ma se si continua ad ascoltarlo, e non risulta difficile, si capisce che la compassione è un sentimento sbagliato: «Sono una persona normale, proprio perché sono diverso. In fondo la normalità è essere diversi».
Sammy è affetto da Progeria, una malattia che porta all’invecchiamento precoce, una di quelle rare che colpiscono 180 persone in tutto il mondo e per cui la ricerca in questo momento è attiva, ma in maniera limitata.
«In realtà le ricerche inerenti la Progeria riguardano tutti – prosegue lo stesso Sammy – perché tutti dobbiamo invecchiare. Nel mondo siamo circa 7 miliardi» dice con estrema semplicità.
Già, perché di estrema semplicità si parla all’interno della serata in sua compagnia, un’ora e mezza di una piacevole chiacchierata usando delle parole chiave come temi da approfondire. Lui, fortemente credente, non è assolutamente arrabbiato per la sua quotidianità, anzi: «Dio mi ha donato il mare, gli amici, la mia famiglia, le montagne e decine di migliaia di altre cose belle, molte di più di quelle che una brutta malattia ti può portar via».
Il sentimento in sala lentamente si trasforma, tra aneddoti di vita, viaggi e incontri da sogno e sogni di futuro:
«Sogno è porsi un obiettivo e cercare di realizzarlo. Non si può andare avanti senza sogni, senza obiettivi. Credo molto nella qualità del tempo, dobbiamo usarlo per far qualcosa ma anche per goderci le piccole cose. Fanno vivere meglio». E allora no, nessuna compassione ma tanta stima perché quel suo modo di vivere andrebbe preso da esempio, a ogni età: «La paura è un muro su cui ci dobbiamo arrampicare per vedere oltre» racconta ancora lo stesso protagonista.
Prima di terminare la serata sul palco arrivano anche Laura e Amerigo, la mamma e il papà di Sammy, che raccontano le difficoltà di una scelta iniziale: “Ci hanno detto che non c’era niente da fare, dovevamo decidere se mettere nostro figlio in una campana di vetro o se farlo vivere davvero. Abbiamo scelto la seconda”. Lo spazio per le domande del pubblico aumenta l’intensità dei sentimenti, le foto finali sono la ciliegina sulla torta di una serata colma di emozioni che non poteva che finire con due grandi artisti come Jack Sapienza e Shade, musicisti con decine di migliaia di follower sui vari social, che cantano “Patch Adams”, una canzone dedicata al medico del sorriso: “Abbiamo le nuove generazioni che ci ascoltano – raccontano all’unisono – ci piacerebbe poter trasmettere loro messaggi positivi e non le solite cose commerciali prive di valori. I ragazzi hanno già dimostrato che certe cose si possono fare”.
E allora no, per la compassione non c’è più spazio. In sala si sente solo tanta, tanta stima.