Quante news false online: impariamo a difenderci
Come si fa a disinnescare una bufala? È estate e non stiamo parlando di mozzarelle, ma di un pericolo contro cui è difficile immunizzarsi: credere nelle false notizie pubblicate su giornali e social e diffonderle. Un paio di settimane fa uno dei più importanti quotidiani nazionali ha pubblicato per un’oretta a tutta pagina sul sito la notizia di un allarme bomba nella metropolitana di Londra. La cosa interessante è che i principali siti britannici – giustamente – non ne parlavano. Da dove arrivava? E soprattutto come far fronte al rischio di prendere una sonora cantonata o, peggio, diventare ingranaggio stesso della viralità che diffonde falsi allarmi?
Facciamo un po’ d’ordine. Ci sono due eventi che sono sostanzialmente diversi: o una notizia che contiene elementi di verità viene ingigantita, oppure si dà credito a delle informazioni false.
Nel primo caso, come per l’allarme bomba nella metro, un antidoto neanche troppo dispendioso e per certi versi banale, consiste nel controllare le fonti: anche se la notizia arriva da un giornale o sito importante, fate lo sforzo di controllare se altre testate la danno. Può sembrarvi un consiglio stupido, ma ascoltate questa storia. Immaginate di partire per un weekend romantico. Passeggiate in una via piena di ristorantini, è molto presto, per cui sono tutti ancora vuoti. Vi sedete in uno che vi ispira senza conoscerlo e, dopo dieci minuti, una seconda coppia passa nella via e deve fare la stessa scelta. Ora però i ristoranti non sono tutti vuoti: ce n’è uno dove una coppia è serenamente seduta. Anche i due nuovi innamorati optano per quello e si siedono. Dopo altri dieci minuti, arriva una terza coppia e, questa volta, si trovano di fronte a un ristorante con due coppie sedute: la scelta è ancora più automatica. Morale della favola: in modo del tutto indipendente dalla qualità del cibo, un ristorante si trova pieno di avventori e gli altri rimangono deserti. Con l’informazione, il rischio è il medesimo: la viralità può portare a effetti perversi, indipendenti dalla volontà stessa e dalle intenzioni di chi condivide una notizia.
C’è, tuttavia, un secondo rischio connesso alle bufale: quello, cioè, di diffondere proprio notizie false. Pensate a quanti articoli leggiamo su studi scientifici che millantano di presunte virtù dietetiche del cioccolato oppure, come è capitato qualche anno fa sempre in UK, che mettono in relazione la quantità di latte prodotto da una mucca con il fatto che le venga dato un nome proprio o meno.
Quando abbiamo a che fare con notizie di studi scientifici, esiste un kit di pronto soccorso bufala che non richiede, ancora una volta, grandi competenze per immunizzarsi dalle sciocchezze:
- Se viene riportato il nome della rivista scientifica, fate una semplice ricerca online. Su Google Scholar si può vedere quanto importante è quella testata, poi, esiste un indicatore semplice che dice qualcosa sulla sua affidabilità: l’impact factor, che è il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati su una rivista scientifica nei due anni precedenti. Più è alto e più la rivista è rilevante nel contesto scientifico, e dunque affidabile.
- Se l’articolo che cita lo studio va più nel dettaglio e prova a parlare del metodo di analisi, scoprite se si tratta di un’indagine sperimentale o di un questionario. Nel caso delle mucche e del latte per esempio l’analisi consisteva in una sorta di inchiesta fatta con un campione di allevatori, senza alcun effettivo test sulle mucche (ma quello studio ha un altro problema su cui torniamo dopo).
- Prestate attenzione anche al numero di osservazioni su cui si basa uno studio: anni fa si diffuse la notizia di un esperimento scientifico che dimostrava come il cioccolato facesse dimagrire. La notizia si rivelò falsa e, anzi, confezionata ad arte da un ricercatore che voleva proprio dimostrare come sia facile indurre la stampa in errore. Il test sperimentale si basava su un gruppo di 12 persone. Anche qui non ci vuole molto: uno studio che si basa su un campione rappresentativo sufficientemente ampio è senz’altro più affidabile di uno che si basa su poche osservazioni non strutturate.
Tornando all’articolo sulle mucche, ponetevi il quesito classico di uno scienziato: ma quello evidenziato è un vero rapporto di causalità o qualcos’altro? Davvero dare il nome a una mucca può portarla a produrre più latte? O questa è una semplice correlazione che nasconde altri fattore chiave? Per esempio, è probabile che chi decide di dare il nome a una mucca è anche più propenso a prendersi cura dei propri animali nutrendoli e curandoli meglio, e per questo poi i bovini producono più latte.
Infine, un altro problema rilevante da mettere sul tavolo è che siamo tutt’altro che infallibili come decisori razionali e cadiamo spesso vittime di quella che viene chiamata Confirmation bias, cioè a dire la distorsione della conferma. Quando ascoltiamo una notizia tendiamo a vedere più facilmente l’evidenza empirica o le prove a sostegno di quello che già pensiamo, mentre facciamo fatica ad accettare ciò che è contro le nostre idee. La prossima volta che leggete una notizia, provate a fare un esercizio e rispondete a queste tre domande:
- Ascoltate anche l’opinione di chi sta dall’altra parte o solo quella di chi sta dalla vostra?
- Prestate la stessa attenzione alla voce di chi non la pensa come voi rispetto a chi, invece, con voi è d’accordo?
- Per decidere se una notizia è affidabile o meno, adottate gli stessi criteri di severità verso chi la pubblica, sia che la pensi come voi o che sia agli antipodi del vostro pensiero?
Se la risposta è sì a tutte e tre le domande, complimenti: avete vinto la palma d’oro dell’onestà intellettuale (ma credo non ci siano molti altri con cui festeggiare). Se invece, come molte persone, rispondereste no a qualcuna o a tutte le domande, provate a mettere in atto i suggerimenti: potrebbe davvero valerne la pena.