Qual è la definizione di innovazione? Dimenticare. Sottrarre. Semplificare
Immaginiamo il consulente aziendale come un filosofo che vive nel mondo delle idee e studia modelli dotati di ragionevole efficacia, che poi distribuisce in forma di stereotipo diffuso. Mi spiego meglio con un esempio: immaginiamo un produttore di abbigliamento che va personalizzando in chiave formale, ma non sostanziale, i prodotti per i propri clienti. Vende una tshirt di taglia M, che potrà andare bene alla maggior parte dei suoi clienti ma, al lato pratico, nessuno si potrà sentire perfettamente a proprio agio in un progetto costruito per soddisfare un numero così ampio di interlocutori.
Che cosa lo spinge ad agire in questo modo? La sua obbedienza al rito più diffuso del nostro tempo, il “come fare per”, che lo porta a propinare conoscenza in nome del “Dio Tutorial”. Ecco spiegato il proliferare di blog, podcast, video e corsi di formazione che spiegano come vendere, scrivere, negoziare, investire, eccetera.
Come reagisce l’organismo-azienda quando le vengono proposte tali risorse? Spesso con crisi da rigetto: riconoscendo un corpo estraneo al proprio interno, l’impresa mette in atto processi di espulsione, operando un inconscio sabotaggio della conoscenza condivisa che, per quanto valida, non viene accettata.
Prendiamo ora una seconda tipologia di consulente, che chiameremo Filosofo Esecutivo, in opposizione al primo che definiamo filosofo speculativo, alias il consulente tradizionale. In che cosa differisce l’approccio del secondo? Innanzitutto egli non propone stereotipi, né si prodiga nel costruire: si impegna al contrario a distruggere. Ma distruggere cosa? Distruggere gli assunti del Pensiero Prevalente, quella sequela di liturgie consolidate che vengono accettate come imprescindibili nel tessuto di una realtà professionale o nel proprio mercato di riferimento.
Egli è un “alchimista del pensiero” che scioglie la zavorra dell’infruttuosa operatività aziendale, creando in questo modo i presupposti per un’autentica e prospera innovazione.
Che cos’è l’innovazione dunque? Se vogliamo basarci sull’etimologia latina – in nova agere (mettere in azione cose nuove) – potrebbe apparire come l’addizione di risorse esterne per favorire la crescita di un sistema. Innovazione come addizione?
E se l’innovazione fosse al contrario sottrazione? Sottrazione del superfluo, ottimizzazione.
Riflettiamo un istante: chi sono i più grandi innovatori? I bambini. E su che cosa basano la loro eccellenza in questo ambito? Non certo dalla ricchezza di esperienza o conoscenza, bensì dall’assenza di preconcetti che impediscono agli adulti di concepire un mondo diverso da come è stato loro raccontato. Se vogliamo modellare tale capacità di fare innovazione basiamoci dunque sulla facilità dei bambini nel distruggere, mandare all’aria il gioco che non li soddisfa e poi ripartire, dal principio.
Dove sta la difficoltà? Maggiore è la storia di una azienda, o del Paese che la ospita, maggiore sarà la sua difficoltà nello sviluppare il cosiddetto “pensiero base zero”, vale a dire la capacità di riconsiderare il proprio business in maniera svincolata dagli assunti che lo hanno preceduto.
Innovare, in un certo senso, è dimenticare.
Che la nostra meravigliosa storia rappresenti dunque la nostra forza, ma alle individualità che la popolano, anziché al nostro passato, chiediamo le costruzione dei paradigmi di una nuova rinascita, personale e professionale.
Quindi, mio caro lettore, scegli come tuo consigliere personale, consulente o coach, non tanto l’uomo che ti propone le sue migliori soluzioni, ma il bambino che sfida le tue certezze più consolidate.