Qual è il link tra creatività e azienda?
Pensate a ogni volta che in azienda dovete cercare il nome per un nuovo servizio, creare un nuovo progetto, trovare la grafica giusta. Tante situazioni che richiedono creatività, parola che, sfruttando il fatto che sia invariabile, spesso nel mondo delle imprese viene indicata anche al plurale. «Ci servono le creatività per questo progetto. Chi si occupa delle creatività?» indicando con questo, tutto un pacchetto di cose che presuppongono originalità e allo stesso tempo siano di valore ed esteticamente gradevoli.
Creatività che viene richiesta e stimolata in quelli che vengono definiti brainstorming, quando appunto ci si siede tutti a un tavolo, per 10 minuti così come per un paio d’ore, per cercare il prossimo argomento per una rubrica, una nuova pubblicazione o altro ancora. Creatività che le aziende tentano di promuovere dando sempre più benefit. Non parliamo tanto del cellulare o dell’auto aziendale, ma di tavoli da ping pong sempre più caratteristici nelle tech company (che si trovano tanto a Google in Silicon Valley così come a Linkedin a Milano), open space, uffici che della sedia e della scrivania tradizionali hanno ben poco, ma sono sempre più di design.
E ancora: campi da squash, sale giochi, aree relax e tanto altro. Tutti benefit che ovviamente vanno incontro ai dipendenti – a chi non piace andare a lavorare in centro e potere mangiare su un terrazzo – ma che pare «stiano rovinando la creatività». Parole di Eric Weiner sul Los Angeles Times che rincara la dose dicendo: «non avere comfort, anzi trovarsi a disagio giova molto di più di belle, grandi e comode sedie». Perché? È presto detto.
Da un lato, sicuramente, i benefit dimostrano l’interesse da parte delle aziende di fare stare al meglio i propri dipendenti e quindi creare “ben-essere”. Dall’altro c’è il rovescio della medaglia: sto così bene in questo posto che non me ne andrei più (cosa che unita a un buono stipendio, aumenta infatti la fidelizzazione verso l’azienda), ma è anche vero che il sentirsi a proprio agio fa spesso “sedere” anziché alzarsi. Non avere particolari necessità o esigenze – che vengono accontentate a priori – fa sì che ci si ingegni meno per capire come migliorare una situazione.
D’altra parte chi perfeziona una cosa che ritiene già perfetta?
E invece pensataci: tutte le grandi invenzioni sono arrivate quando qualcosa non funzionava, quando ci si è trovati a dovere dare una soluzione a un problema imprevisto. O ancora in contesti di particolare instabilità. Lo stesso Einstein scrisse la sua teoria della relatività in cucina e Raymond Carver creò i suoi racconti fermo in macchina, tra un lavoro e l’altro. Lo diciamo tutti: la crisi aguzza l’ingegno, e traslando questo concetto nel mondo delle imprese, dare troppi benefici a un lavoratore, se da un lato appunto aumenta l’attrattività dei talenti e risponde a obiettivi precisi di employer branding, può di contro rischiare di essere un boomerang.
La creatività non si incanala, non si progetta, o almeno non del tutto, ma viene fuori nei momenti improvvisi. Ecco perché a volte i brainstorming sono inutili (specie se durano ore e ore) e molte delle soluzioni ci vengono in mente dopo, magari mentre siamo sotto la doccia o prima di andare a letto. In momenti non pensati apposta per creare. Per questo più che benefit fisici o materiali (in molti casi necessari), valgono momenti liberi per pensare, ore che un lavoratore possa dedicare a interessi apparentemente non in linea con quelli aziendali o che possa usare per formarsi, uscire o semplicemente guardarsi intorno.
Momenti apparentemente di non creatività per stimolare la creatività. Per l’azienda e in azienda.