Patch Adams in corsia, another day at the office
«Another day at the office», un altro giorno in ufficio. Con questa espressione e il sorriso sulle labbra il dott. Adams ha messo il punto, esclamativo, a margine della sua visita all’ Ospedale Ramazzini a Carpi.
Lui, che di nome fa Patch, è da molti definito il padre della clownterapia, tutti sono concordi nel dire che ne è il più grande ambasciatore mondiale con oltre 300 visite l’anno sparse in 81 paesi nel mondo da più di tre decenni.
«Chi soffre di più?» chiede appena entra in un reparto con l’obiettivo di dare sollievo là dove si pensa che un sollievo sia impossibile da dare. Adulti o bambini, pazienti di oncologia o psichiatria, non c’è differenza: «L’amore è per tutti».
Seguirlo in corsia è una esperienza entusiasmante, Patch si cala nella parte ancor prima di scendere dall’auto, le risate cominciano quando la soglia degli ospedali non è ancora stata varcata con le reazioni dei passanti che non possono fare a meno di notarlo e di interagire con lui (a loro rischio e pericolo, si intende).
«Preferisco lavorare con gli adulti, i malati mentali sono i miei preferiti. Là dove il lavoro è difficile mi sento stimolato» racconta.
Poco importa quale sia la prima reazione, il modo di fare breccia il dott. Adams lo trova sempre, anche di fronte a un iniziale barriera posta dai pazienti.
È stato il caso di Marta, una bambina affetta da una pesante malattia della pelle incrociata nel reparto pediatria dell’ Ospedale Santa Maria degli Angeli a Pordenone. Un enorme pesce di gomma nella mano destra, un cappello con una gallina sulla testa, un vestito buffo e un inglese che di inglese ha ben poco perché «i bambini sono uguali in tutto il mondo, ti capiscono a prescindere», spiega. Per avere la fotografia perfetta comunque basta prendere Mrs. Doubtfire, sì quella del film, vestirla in maniera strana e renderla buffa: ecco Patch Adams in corsia.
Dicevamo di Marta, lei era il suo obiettivo principale di Pordenone. La bambina, circa 4 anni, aveva posto una iniziale barriera molto forte, quasi spaventata da questo buffo anziano che le faceva dei versi invitandola a giocare col suo pesce di gomma. Inavvicinabile. Patch Adams sposta la su attenzione altrove, coinvolge mamme, medici, persino il primario che si lascia fare di tutto (e quando diciamo di tutto lasciamo che la vostra immaginazione sia libera di volare molto molto in alto) mentre Marta a poco a poco viene coinvolta nel dirigere le operazioni. «Chi mettiamo nelle mutande più grandi del mondo?» le chiedeva. Era la bambina a scegliere, a sentirsi padrona del gioco, pur senza esserne direttamente coinvolta. Dopo un’ora di giochi e scherzi il tributo più grande: un enorme «ti voglio bene» prima di salutarsi definitivamente.
«Ho regalato sorrisi a più di diecimila bambini nella mia vita – racconta – e provo sempre la stessa grande emozione». Guai a dirgli che è difficile fare ciò che fa lui però: «Fare una operazione alla colonna vertebrale è difficile, non mettersi un naso rosso e regalare un sorriso» esclama.
E con gli adulti? Si ride e si sorride in maniera diversa, si cerca di alleviare le sofferenze sentendosi amati, partecipi e uniti: «Tutti meritano aiuto, attenzione e amorevoli cure – continua – anche tu che stai ascoltando puoi farlo e se pensi che forse stai esagerando…bè, allora è la strada giusta da seguire».
Ah, se vi state chiedendo quante persone possono stare nelle mutande più grandi del mondo vi lasciamo con la risposta, figlia di una analisi clinica profonda, del dott. Adams: «Chi lo sa? 7,8,9 persone, magari di più, finché c’è posto ci si inserisce. Condividere le mutande con qualcuno è un atto d’amore, una volta che lo provi non puoi più farne a meno».