I diversi modi di vivere il proprio quartiere… in tutta sicurezza! Potere al capitale sociale
L’ultimo endorsement ricevuto dal progetto Social Street, è stato quello da Robert Putnam, professore di Public Policy all’Harvard University. Il professore americano è uno dei massimi studiosi di capitale sociale, ovvero l’insieme di relazioni che si instaurano tra gruppi di persone che hanno la caratteristica di aumentare il grado di fiducia tra gli stessi.
Come si può ben immaginare il capitale sociale è fondamentale nell’organizzazione delle città contemporanee perché ha risvolti non indifferenti sulla qualità della vita e sulla percezione della sicurezza in ambiente urbano. Ne abbiamo parlato qui su Centodieci a pochi mesi dalla nascita del progetto Social Street di Bologna.
Non a caso Putnam in uno dei suoi più celebri libri Bowling alone (2004) parla proprio di come queste reti di relazioni si stiano progressivamente erodendo partendo proprio dalla metafora di giocare a bowling da soli, diventata una realtà diffusa nella società americana e non solo. L’obiettivo con cui è nato e diffuso Social Street sta proprio in questa analisi, il tentativo di ricreare senso di comunità e di appartenenza partendo dal vicinato, da un territorio molto circoscritto, come quello della strada, favorendo la rete delle relazioni fra vicini di casa. Non è una “missione” semplice da raggiungere perché esistono vari tipi di capitale sociale.
Esiste il capitale sociale bonding, ovvero quelle relazioni fiduciarie che si instaurano all’interno di gruppi omogenei, come la famiglia o i tifosi di una squadra di calcio. Alle persone che fanno parte delle Social Street viene spontaneo cercare vicini con affinità. Quando vengono lanciate proposte del tipo «chi viene a fare trekking urbano con me?» oppure «chi partecipa a questo gruppo di lettura ad alta voce?» o ancora «chi viene con me a vedere questo museo?» si smuove un certo tipo di vicini di casa, accomunati appunto dai propri interessi. Questo è normale, pensate a quando vi siete iscritti a Facebook, quasi tutti sono andati a cercare quei gruppi nati su un interesse personale specifico (lo sport, i motori, gli animali) ed è più facile stabilire relazioni in questo contesto.
Altra cosa è il capitale sociale bridging, ovvero quelle relazioni tra membri eterogenei che entrano in contatto da ambienti sociali ed economici differenti. La Social Street ha come sfida lavorare proprio su questa forma di capitale sociale perché alla base dei valori fondanti c’è proprio l’inclusività, ovvero andare ad annullare quelle differenze o autoghettizzazioni che in modo quasi automatico si creano all’interno di una strada (per esempio: i negozianti, l’extra comunitario, gli anziani, i giovani). Favorire ed incrementare questo tipo di capitale sociale richiede molto tempo e pazienza perché esistono diversi muri da abbattere e la diffidenza è il primo di tutti. Per riuscire nell’intento ogni Social Street tenta di creare momenti di condivisione collettivi cercando di aggregare tutti i residenti attraverso per esempio l’aperitivo fisso settimanale, la festa di strada o un semplice compleanno a sorpresa per un vicino che fino a ieri non si conosceva.
La Social Street vuole fluidificare questo tipo di interazioni affinché diventino normalità e si crei quel clima di fiducia fra le persone passando dal virtuale di Facebook al reale della strada perché il passo è davvero breve, non solo metaforicamente.
Quali sono le conseguenze di un maggiore capitale sociale nelle strade? Spesso veniamo invitati a parlare dell’esperienza social street in ambito di sicurezza urbana insieme a rappresentanti delle forze dell’ordine. Quale relazione direte voi? Jane Jacobs, una delle più note antropologhe statunitensi, scriveva che “L’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi è mantenuto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei. Non c’è Polizia che basti a garantire la civile convivenza una volta che siano venuti meno i fattori che la garantiscono in modo normale e spontaneo”.
Ecco perché è così importante passare dal virtuale al reale per le Social Street, rivivere gli spazi pubblici, la strada o la piazza con ogni pretesto, e i pretesti sono davvero tanti, anche momenti goliardici: il concertino dei vicini in strada oppure il conferimento di una laurea honoris causa sotto casa di un vicino organizzata affinché gli altri residenti possano scoprire che a quel civico vive una determinata persona che magari si incrocia tutti i giorni e che ha una storia tutta da raccontare.
Spesso la Social Street viene erroneamente associata ai “neighbors watch” molto diffusi nei paesi anglosassoni ma anche in Sudamerica, il così detto controllo di vicinato. Questi gruppi nascono e crescono con l’obiettivo primario che non è la socialità ma la sicurezza. Social Street lavora su questo aspetto in modo indiretto perché aiuta ad aumentare la percezione di sicurezza. Qualche mese fa Massoud, proprietario di un negozio di tappeti iraniani in via Fondazza a Bologna, la prima Social Street, è stato vittima di un atto vandalico. La risposta molto bella della Social Street non è stata quella dello sfogo sterile di frustrazioni online, nemmeno quello di organizzare collette a sostegno del negoziante, bensì quello di far sentire la vicinanza fisica a Massoud sotto forme di pellegrinaggio dei vicini al suo negozio. Non scorderò mai le sue parole: «Prima quelle persone erano solo dei volti che vedevo passare davanti al mio negozio tutti i giorni, ora conosco i loro nomi perché sono venuti qui a farmi sentire parte di questa piccola comunità». Per Massoud tecnicamente non è cambiato niente, rischi vandalici possono sempre verificarsi, ma adesso la sua percezione e senso di appartenenza lo fanno vivere meglio nella strada. Quando ho raccontato questa piccola storia al Prefetto di Bologna durante un incontro privato, lui mi ha detto: «La Polizia non potrà mai sostituire quello che ognuno di noi può fare per l’altro».