Ricominciate a salutare i vicini e ad aiutarvi a vicenda? L’Italia è esempio mondiale di welfare di prossimità
Il primo vocabolario dedicato all’innovazione sociale ha inserito anche Social Street fra i nuovi termini. Letteralmente recita: “Comunità di quartiere in cui i residenti socializzano e si riuniscono con l’obiettivo di condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi d’interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale. Le Social Street si sviluppano generalmente attraverso l’utilizzo dei social network”.
Era questo il testo che avevo inserito un po’ per gioco e un po’ per scherzo nel volantino diffuso per Via Fondazza a Bologna nel settembre 2013, all’inizio di questa avventura. Social street è diventato un fenomeno internazionale. Oggi si contano ben 393 social street nel mondo, compreso Portogallo, Brasile, Regno Unito, Spagna, Nuova Zelanda e oltre 50.000 persone fanno parte dei gruppi chiusi facebook di residenti delle varie strade.
Non sono mancate le soddisfazioni: presentare Social street al Senato della Repubblica, tenere un discorso al TEDxPisa, ricevere la visita in Via Fondazza della tv di stato brasiliana, del Clarin dall’Argentina, il New York Times ed addirittura vedere trasformata questa storia in un fumetto per Topolino.
https://www.youtube.com/watch?v=rBTJWJIdNT8
A distanza di due anni è tempo di fare bilanci e soprattutto cercare di capire il perché di questa diffusione spontanea. Sì, avete capito bene, spontanea. Ho studiato economia aziendale all’Università di Pisa, conosco da vicino il mondo delle startup, mi occupo di comunicazione, di marketing e molti hanno pensato che avessi usato la mia esperienza per lanciare il progetto Social Street. In realtà proprio avendo delle competenze nel settore ho deciso di fare l’esatto contrario di quello che le “regole” vogliono. È stata decisamente una sfida portare avanti un’idea d’innovazione sociale senza ricevere alcun tipo di fondo, senza voler costruire una struttura, senza assegnare un’entità giuridica, senza preoccuparsi della componente legale e commerciale, lasciando fuori tutti questi aspetti con un solo e unico obiettivo: rendere migliore l’ambiente sociale dove si vive.
Sottolineo la parola sociale perché spesso la social street viene intesa come l’ennesima associazione o comitato che si occupa di tenere pulita una strada, non è questo l’obiettivo primario della Social Street. Sembrerà banale ma è più difficile salutare chi ti abita di fianco, costruire rapporti di fiducia, aprire la porta della propria casa ai vicini e darsi una mano a prescindere, senza aspettarsi niente in cambio.
Oggi questo messaggio sembra rivoluzionario. Ogni settimana ricevo email di persone che vogliono replicare l’esperienza di Via Fondazza; qualcuno mi ha scritto dicendo che adesso sono felici di vivere nella strada dove fino a ieri si sentivano degli estranei, avvertono un senso di “sicurezza”. La società in cui viviamo è sempre più individualista, non si dà più importanza al valore della relazione umana, tutto viene bypassato in qualche modo. Sono rimasto colpito da queste affermazioni, il più delle volte è sufficiente una semplice rassicurazione.
I vari community manager parlano già di “welfare di prossimità”, mi diverte osservare come gli studiosi si precipitino ad inquadrare il fenomeno Social Street in qualche contenitore. C’è chi lo ha definito l’ennesimo fenomeno di “sharing economy”, chi ha scritto che servono per gestire i beni comuni… in due anni ho letto di tutto ed è molto strano che si faccia fatica a cogliere l’aspetto essenziale di questo progetto: la componente relazionale.
Non è un caso che Social street abbia ricevuto l’endorsement di prestigiosi accademici di fama internazionale come Anthony Giddens o Marc Augè.
Confrontandomi con queste personalità mi rendo conto che la sfida più difficile paradossalmente è mantenere questo progetto sul piano sociale e relazionale al fine di ricreare senso di comunità. È logico che quando un’idea cresce a livello numerico e mediatico, gli interessi politici ed economici bussano alle porte.
La sfida è proprio questa, fare in modo che social street non diventi altra cosa rispetto all’idea originale per cui è nata.