I computer ci toglieranno qualsiasi lavoro. Ecco come mantenere il tuo!
Nel settembre del 2013 due ricercatori di Oxford, Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, hanno pubblicato una ricerca intitolata The Future of Employment: how susceptible are jobs to computerisation? Il documento analizza quanto le singole nostre professioni sono suscettibili all’informatizzazione o all’automatizzazione. La ricerca analizza cioè quanto i lavori che tutti noi oggi svolgiamo, e per cui siamo pagati, potranno essere svolti dalle macchine domani, mettendo a rischio il nostro impiego.
I due economisti britannici sono partiti con questo studio per approfondire la famosa affermazione degli anni Trenta del loro connazionale John Maynard Keynes, tra i più famosi economisti del Novecento: «Noi siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera».
Dalla nascita dell’industria e dunque dell’automazione del lavoro, questo teorema è stato più volte negato ed è evidente che fino a oggi le macchine non sono riuscite a spodestare l’uomo dal palcoscenico del mondo del lavoro: ogni rivoluzione tecnologica, dalla macchina a vapore al personal computer, infatti, se da un lato ha cancellato posti di lavoro dall’altro ne ha creati almeno altrettanti nuovi.
Tuttavia la paura della “disoccupazione tecnologica” rimane ed è giusto, soprattutto oggi che la penetrazione delle macchine nel mondo del lavoro sta crescendo con ritmi esponenziali, ragionare sul rapporto tra l’introduzione di nuove tecnologie e i valori occupazionali.
Per questo motivo, senza diventare luddisti,studi come quelli svolti a Oxford nel 2013 sono importanti. Di questa ricerca e della sua corrispondente pubblicazione colpiscono in particolare le ultime pagine, un’appendice di circa 15 cartelle dove i due ricercatori hanno segnalato per circa 700 professioni la probabilità che queste vengano sostituite da una macchina o da una tecnologia informatica, un computer.
Le professioni che hanno probabilità alta di essere sostituite da un computer sono quelle che nei prossimi decenni spariranno e che gli umani non faranno più, esattamente come è successo, giusto per fare un esempio, a centinaia di migliaia di centraliniste quando, dopo la prima guerra mondiale, è stato introdotto il centralino automatico.
È inutile dire che ai miei figli e ai miei studenti, quando mi è possibile, cerco di spiegare i rischi di scelte non allineate con questi dati.
Prendiamo due professioni all’estremo della classifica per fare alcune considerazioni: con circa il 90 per cento di probabilità di essere sostituita dalla tecnologia troviamo la professione del tassista, mentre con meno dell’uno per cento di probabilità troviamo la professione della maestra d’asilo. Prima di fare le nostre considerazioni, aggiungiamo poi che quasi la metà delle professioni hanno più del 50% della probabilità di essere sostituite da macchine intelligenti nei prossimi decenni.
Questo significa che un lavoro su due molto probabilmente sarà sostituito da una macchina.
Tornando sui due dati che abbiamo riportato, indicativi di tutta la classifica, possiamo affermare che i lavori meno a rischio di estinzione sono quelli in cui i professionisti sono chiamati a usare intelligenze complesse e laterali, non riproducibili attraverso algoritmi informatici. Così, ad esempio, per un computer sarebbe impossibile capire i comportamenti dei bambini in età prescolare, mentre sarà semplice, si pensi a Google Self-Driving Car, imparare a riconoscere i segni codificati della strada per muovere gli automezzi anche in presenza di traffico. Per questo motivo si può dire che per avere spazio nel mondo del lavoro del futuro è conveniente investire in competenze orizzontali e non verticali, in scuole e università che sviluppino intelligenze complesse e non lineari o in corsi di aggiornamento che potenzino le soft skill che le macchine non riusciranno (almeno ancora per qualche decennio) a simulare. C’è, insomma, un mondo del lavoro umano in cui cervello, mente e sensibilità rimangono centrali: impariamo a percorrere queste strade, a diversificare la nostra formazione, a non farci imprigionare da convenzioni e abitudini.
Buon lavoro futuro a tutti.