Fare o non fare un MBA? Tutte le risposte ai dubbi sul tuo prossimo salto di carriera
Se negli anni Ottanta e Novanta un MBA (Master in Business Administration) era il vero fattore critico di successo, oggi sembra esserci la corsa alla demolizione del programma per Executive più famoso del mondo, tanto che persino un’icona del management tradizionale come Jack Welch ha recentemente dichiarato al Wall Street Journal: «Se te lo puoi permettere, se hai genitori ricchi, se vuoi spendere 300.000 dollari (mancati guadagni per due anni più le rette) è un buon investimento. A patto che entri in una scuola top».
Avendo conseguito un Executive MBA alla SDA Bocconi nel 2011, ho pensato che potesse essere interessante tentare di fornire una risposta alla domanda che molti manager e professionisti ambiziosi si pongono dopo qualche anno di carriera: mi conviene un MBA? Quali possono essere le alternative?
Innanzitutto va chiarito che un programma MBA rafforza le competenze di general management, quindi ha l’obiettivo di far crescere futuri direttori generali e amministratori delegati. Altissimi profili aziendali, insomma.
Vediamo dunque se serve davvero un MBA attraverso quattro dei più comuni quesiti.
- L’MBA aiuta a far carriera?
Non è detto. Ti aiuta se, ad esempio, hai molte competenze tecniche e la tua società vuole affidarti dei ruoli in cui il contenuto manageriale (gestione di team, aree organizzative diverse, ecc.) è più importante. Due sono le domande da porsi: la prima è se l’MBA può rientrare in un progetto di ampio respiro per il tuo percorso di carriera (ad esempio sei un direttore marketing che può diventare responsabile di business unit e poi direttore generale), la seconda è se nella tua azienda c’è un clima favorevole o avverso agli MBA. Tante big corporation in realtà non li amano e corri così il rischio di finire a inserire ordini, come in un famoso spot della Fed Ex. - Sono un consulente, l’MBA mi è utile?
È probabile di sì. Le grandi firm della consulenza valorizzano molto questo programma perché consente in breve tempo di avere uno sguardo ad ampio raggio sulle tematiche strategiche con cui i professionisti del settore si misurano. Anche in questo caso però attenzione, nella scelta, al momento di carriera in cui ti trovi. A mano a mano che si procede, l’esperienza diretta con progetti e clienti assume più valore. Per dirla con Management Consulted, uno dei blog principali sul recruiting nel mondo della consulenza: “L’Harvard Business School non è pari a McKinsey“. - Sono una donna, in quali settori potrei valorizzare maggiormente un MBA?
Secondo Fortè Foundation, un consorzio non-profit di aziende e top business school internazionali nato per aiutare le donne a costruire percorsi di carriera soddisfacenti, un MBA può avere un impatto molto significativo sulla carriera femminile, specialmente nei settori del marketing, della consulenza, dei servizi finanziari, dei beni di consumo e della pubblica amministrazione. - L’MBA è utile per imprenditori e startupper?
Direi proprio di no: sono davvero poche le business school internazionali che danno il massimo risalto all’imprenditorialità. Del resto, l’MBA nasce per fornire competenze di strategia e general management, quindi per persone che hanno principalmente una vocazione aziendale. Lo stesso Financial Times si è recentemente chiesto: “Ma gli imprenditori hanno bisogno di un MBA?”.
In ogni caso il panorama della formazione per manager sta evolvendo radicalmente. Interessante in tal senso è il nascere di iniziative peer-to-peer, come Coaching Ourselves. Nata nel 2007 da un’intuizione di Henry Mintzberg, professore di strategia alla McGill University di Montreal, Canada, si basa sulla semplice ma efficacissima idea della business education tra pari. In sostanza, le lezioni in cattedra svolte da accademici sono sostituite da un training tra colleghi di aziende e settori differenti. Un co-design della formazione manageriale che si libera gradualmente dei libri in favore di uno scambio di esperienze tra persone che vivono sfide importanti. Una formula agile e innovativa a cui hanno già creduto big come Nissan, SAP e Fujitsu.
In generale, il difetto principale di un MBA è che non si tratta di un programma “hands-on”, cioè che consente di applicare immediatamente le nuove competenze apprese. Per questo, i suoi concorrenti stanno diventando sempre più gli incubatori, ecosistemi pensati per accelerare lo sviluppo di imprese, spesso in settori innovativi. In Italia stanno vivendo una vera e propria primavera e ovunque si stanno equipaggiando con iniziative di education per consentire ai futuri imprenditori di acquisire quel know-how strategico e operativo che consenta loro di fare startup.
A riprova del fatto che questo è il terreno nel quale le persone ad alto potenziale si misureranno sempre di più, cominciano a nascere anche degli interessanti esperimenti di ibridazione. Uno di questi è SpeedMIUp, un’iniziativa di Camera di Commercio e Comune di Milano in collaborazione con l’Università Bocconi per supportare con strutture tecniche e know-how i futuri imprenditori. Ma accanto a questa, ad esempio, Luca De Biase cita molti altri che si stanno dotando di strutture di training avanzato, come H-Farm, Talent Garden e LVenture.
Insomma, tra formazione peer-to-peer e concorrenza degli incubatori, il “vecchio” MBA ha di fronte sfide importanti ma ancora molte frecce al suo arco. E solo il tempo saprà dire se davvero, come sostiene un recente post di Tech Crunch, “Gli acceleratori sono le nuove business school”. In ogni caso, allargare le possibilità di formazione non può che essere benefico.