Storytelling e co-creazione esistono da migliaia di anni: dal Giappone del 1100 ecco come valorizzare un brand
Sapete cosa è un “haikai renga”? In Oriente, precisamente in Giappone, più o meno nel XII secolo nasce una forma di poesia unica al mondo. Si tratta di una catena di componimenti ideati da diversi poeti attraverso un’interazione continua fra i loro testi. La co-creazione di storie è un processo narrativo che porta due benefici concreti: da un lato permette di abbattere barriere e confini narrativi, dall’altro aumenta l’entusiasmo e il coinvolgimento dei partecipanti.
Penso spesso al renga, quando vedo alcuni casi di storytelling poco riusciti. Soprattutto in Italia infatti si pensa che sia sufficiente “raccontare storielle”. Invece fare storytelling significa “creare un immaginario che allinei comunicazione interna ed esterna in un mondo appositamente realizzato” come sostiene Andrea Fontana. Oppure, come chiarisce Mafe de Baggis, “fare user experience design creando un campo di forza che assomiglia molto ai mondi narrativi, mondi da cui non vuoi uscire”.
La questione non è di secondo piano. Se il valore di un brand è dato dalla somma delle percezioni dei clienti, quanto sarebbe efficace creare delle storie dando voce direttamente all’esperienza vissuta dai fan? In questa prospettiva i social media offrono ambienti ideali per andare oltre al semplice “racconto di una storia”. Avviare strategie di ascolto e di relazione con i clienti per poi integrare le loro percezioni in un’esperienza unica: questo processo di co-creazione di storie sviluppa – come in un moderno renga – un legame unico con il pubblico, garantendo una immedesimazione diffusa in quella che ormai è diventata una “storia condivisa”.
Certo, non è semplice. Ma esistono almeno tre livelli di applicazione di co-creating stories:
1 – Ascolto
Monitoraggio strutturato delle conversazioni in rete, individuazione dei temi più discussi e definizione di un racconto legato alle principali domande o istanze dei nostri clienti.
Un esempio interessante è legato alle “twittinterviste”, ossia delle azioni di ascolto di fan o appassionati legati ad un personaggio: si lancia un hashtag (es: #NOMECOGNOMErisponde), vengono raccolte le domande più interessanti e l’ospite pubblica in tempo reale le risposte.
2 – Relazione
Il livello successivo porta ad avviare strategie di coinvolgimento con coloro che hanno le storie più adatte ai nostri obiettivi. Valorizzare un’esperienza personale in un percorso narrativo di un brand è sicuramente un’attività da preparare con cura. Come spesso succede, l’esempio positivo arriva da un grande brand, in questo caso Coca-Cola con il progetto CalcioSociale.
https://www.youtube.com/watch?v=rJqiGNy3fNg
3 – Co-creazione
Lo step più avanzato: le voci dei fan diventano quelle del brand. In questo caso l’azienda comunica attraverso le esperienze migliori dei propri consumatori.
Come fare? Intanto eccovi un suggerimento: iniziate con i primi fan (si spera) di un’azienda, ossia i dipendenti!
Un ottimo esempio è quello di Insiel SpA: integra le voci dei propri dipendenti sia nello storytelling sui social, sia addirittura nella home page del sito web. Perché il successo di un’impresa inizia sempre dal suo interno: se tra chi vi lavora esiste una bella storia quotidiana da raccontare, probabilmente quello stesso storytelling riuscirà a conquistare anche i clienti.