Il nuovo biomedicale? Collaborazione, stampa 3D e Internet. Doityourself e lowcost salveranno milioni di vite
Nel mondo più di trenta milioni di persone hanno bisogno di protesi di vario tipo. Un numero enorme, vero? In più pensate che l’80% di loro non si possono permettere i costi proibitivi di questi prodotti. E poi gli ospedali, almeno trentamila, che non hanno accesso alle complesse e costose tecnologie necessarie per far fronte alle varie necessità biomedicali.
Fortunatamente sono sorte nel tempo varie entità non profit di supporto alla biomedica tradizionale impegnate nello sviluppo e nella distribuzione di tecnologie biomedicali in chiave low-cost.
Una precisazione è doverosa: in assenza di certificazioni queste tecnologie non possono essere considerate biomedicali. Al momento nessuna ne è provvista e l’unica che sta iniziando a percorrere la strada per una biomedica digitale sicura è Open BioMedical Initiative, a cui partecipo, un progetto molto giovane nel panorama europeo che ha appena festeggiato il suo primo anno di vita con un evento alla Città della Scienza di Napoli, dove c’è stata la sua presentazione ufficiale e un workshop dedicato al montaggio di protesi stampate in 3D
Il funzionamento è relativamente semplice: team di volontari da ogni parte del mondo lavorano insieme utilizzando una piattaforma web creata su misura e, spesso in poco tempo, riescono a sviluppare un dispositivo funzionante e utilizzabile. Le istruzioni di realizzazione sono poi liberamente accessibili da chiunque, dall’utente domestico al centro di ricerca, dall’ospedale in un paese in via di sviluppo al fablab con personale dedicato. Non resta che realizzare fisicamente la protesi con una stampante 3D e il gioco è fatto, in poco tempo e materialmente, a migliaia di chilometri di distanza, superando ogni problematica sociale, economica, geografica.
Collaborazione, stampa 3D, Internet: la possibilità di realizzare un progetto, inserire i file su un sito web e, immediatamente, arrivare in ogni parte del mondo. Questi i tre principi su cui si fonda il processo, applicato da altri gruppi nel mondo che hanno realizzato dispositivi biomedicali, anche se non certificati. Come Open Bionics, che punta a portare il costo di una protesi mioelettrica da alcune decine di migliaia di euro a circa mille, riducendo il tempo di realizzazione da alcune settimane a pochi giorni. Il loro prodotto ha cinque gradi di libertà e un peso di 268 grammi. Poi c’è RE-ARM, dedicata a chi ha non ha l’arto superiore o lo ha paralizzato. Il movimento è garantito da motorini servo radiocontrollati e la protesi può essere comandata tramite voce o comandi bluetooth. Infine abbiamo la Third World Medical Equipment (Arm), una protesi nata con l’intento di dare all’individuo la possibilità di compiere azioni standardizzate con più facilità.
L’OBM Initiative ha fatto proprio l’approccio di questi gruppi con delle importanti modifiche. Considerato che la biomedica è un campo delicatissimo, non incoraggia la realizzazione di dispositivi biomedicali “in casa” o da parte di personale non esperto sostituendosi alla biomedica tradizionale, bensì vuole fornire un supporto a quest’ultima, collaborando per cercare di arrivare a quante più persone possibile grazie alle tecnologie. Punto saldo della sua attività infatti è spendersi per certificare le proprie tecnologie anche se la loro fabbricazione avviene tramite la stampa 3D.
L’Iniziativa attualmente sta portando avanti tre progetti, sempre in chiave low cost: una protesi meccanica (WIL), una protesi mioelettrica (FABLE) e un’incubatrice neonatale (BOB). Fabia, una ragazza che ha incontrato l’iniziativa poche settimane fa, oltre ad aver scelto di abbracciarla per un bisogno personale, ne è diventata presto una delle voci più importanti descrivendo in un diario su Make in Italy cosa significa ritrovarsi all’interno di una comunità online composta da decine di volontari (ingegneri, medici, designer, curiosi, makers) e che ha come unico obiettivo aiutare chi ha difficoltà biomedicali e non ha la possibilità di accedere a soluzioni commerciali.
È necessario guidare questo cambiamento senza farsi prendere da facile entusiasmo, ma capendo le potenzialità e le problematiche di quella che a tutti gli effetti può essere la quarta rivoluzione industriale al servizio della biomedica. Lo sviluppo di nuove tecnologie a basso costo, diffuse online e stampabili in 3D, è davvero una strada che potrebbe salvare milioni di vite e cambiare il mondo.