Le aziende passano da vendere prodotti a guidare cambiamenti sociali. Il marketing spirituale migliorerà il mondo?
Nel mio post precedente avevo iniziato una riflessione sui nuovi orizzonti del marketing. Non credo di avere risposte definitive, il mio vuole essere uno stimolo alla riflessione. Del resto si tratta di concetti nuovi – o perlomeno di un nuovo modo di vedere le cose – sui quali sto riflettendo da qualche anno e che in parte ho introdotto nel mio ultimo libro Create! Progettare idee contagiose (e rendere il mondo migliore). Ma so di non essere il solo a pensarla in questo modo.
Recentemente sono stato incoraggiato anche dall’esperienza dell’ultimo World Business Forum che si è tenuto a Milano. In quell’occasione ho conosciuto manager illuminati come Eusebio Gualino, amministratore delegato di Gessi, che ha parlato di energia nei prodotti e di design etico. Ho poi avuto il piacere di intervistare Chris Gardner, magnetico imprenditore e protagonista della storia vera che ha ispirato il film La ricerca della felicità, che ha parlato di genetica spirituale, ovvero di quella forza che rende lo spirito umano capace di realizzare la propria felicità. E anche Oscar di Montigny, direttore marketing di Banca Mediolanum, che nel suo intervento sull’Economia 0.0 si è spinto ad affermare che il marketing è un atto d’amore e che deve puntare a suscitare gratitudine.
Il brand come un Soul-Maker
Insomma i tempi sono maturi per affrontare il discorso senza essere etichettato come un idealista new age. Da tempo sostengo che “il brand è un soul-maker”. Cosa vuol dire? Significa che la marca oggi può e deve “fare anima”, come direbbe lo psicologo junghiano James Hillman, ovvero essere di incoraggiamento verso il benessere psicologico delle persone e lo sviluppo sociale delle comunità.
In questo scenario socio-economico in rapido cambiamento e in continua evoluzione le aziende sono passate dallo sviluppare e vendere prodotti attraverso un buon marketing a diventare leader o sostenitori di movimenti sociali, scendendo fianco a fianco delle persone e combattendo a difesa di valori, operando sempre più ad un livello emozionale, sociale e spirituale.
Le marche più forti sono già oggi leader politici (si veda il coinvolgimento in vicende di politica internazionale di Google, Twitter, Facebook) e spirituali, in quanto sostengono la creazione del senso e contribuiscono con prodotti e servizi belli, sani e puliti ad appagare (o a placare) l’interiorità delle persone.
Allo stesso modo sono in grado di agire contro le persone, quando si muovono secondo logiche solo di business e producono effetti negativi con conseguenze sugli uomini e sull’ambiente. Per questo, proponendo un salto quantico, parlo di “marketing spirituale” non senza aver incontrato, lo ammetto, le perplessità di eminenti studiosi di marketing come Bernard Cova, mio co-autore, accademico e mente rivoluzionaria del marketing tribale, rispetto a un termine davvero poco ortodosso per una disciplina aziendale.
Ma da sempre, dalla fondazione di Ninja Marketing, mi piacciono gli ossimori e le associazioni creative. E quindi introdurre un termine che dice al marketing di guardarsi dentro, quando da sempre si è considerato una materia da scienziati dell’economia e della statistica, mi è sembrato il modo migliore per stimolare una riflessione e aprire la materia alle discipline dell’anima, alla psicologia archetipica in primis. Jung, Hillman, Mark & Pearson. Se il marketing deve fare bene al mondo, deve porsi il problema di fare del bene all’interiorità umana, altrimenti sarà solo l’ennesimo cambiamento di facciata. Non credete?
Verso un Marketing Spirituale?
L’abilità imprenditoriale è la capacità di avvertire l’emergere di una nuova realtà e di agire in armonia con essa. Oggi le aziende devono essere leader spirituali. Passare da un marketing basato sull’interruzione e la persuasione (interruption marketing) a uno focalizzato sulla relazione (permission marketing), per poi approdare a un marketing che riesce ad agire sulle corde più sottili, significa imparare a parlare all’anima.
Questo è marketing spirituale. Ed è qui che dobbiamo iniziare a guardarci dentro, perché fare marketing 3.0 significa lasciarsi alle spalle i desideri di manipolazione e persuasione ed entrare in una logica di incoraggiamento psicologico ed esistenziale. Dobbiamo volere il bene, immaginare e realizzare prodotti che cambiano il mondo in meglio, dobbiamo sintonizzarci sul benessere reale e possiamo farlo anche attraverso il nostro marketing. Il mondo ormai è trasparente e le nostre contraddizioni verranno a galla prima o poi. Questo lo sappiamo bene.
Per essere competitivi oggi bisogna lavorare su più livelli. Non basta convincere la ragione con un buon prodotto, non basta coinvolgere i sensi con un buon packaging o una piacevole user experience. La marca dovrà fare molto di più per entrare in vibrazione profonda con le persone. Dovrà essere in grado di farsi riconoscere nella sua autenticità, nelle sue intenzioni positive ed evolutive, dovrà agire culturalmente, portare più senso, più bellezza, più gioia nel mondo.
Nel 1984 il successo senza precedenti dei computer Macintosh non fu dovuto solamente alla facilità d’uso (per la prima volta una interfaccia grafica usava metafore facili da comprendere, come il cestino, la scrivania, le finestre). I Mac hanno dato un epico inizio a una nuova e rivoluzionaria era di creatività. L’iPod ci ha permesso di portare in tasca tutte le canzoni (e le emozioni) della nostra vita. Wikipedia ci ha dato la possibilità di partecipare attivamente alla scrittura collettiva delle basi del nostro patrimonio storico e culturale. Nike ha incarnato la scintilla del talento e della vittoria che è presente in ognuno di noi. Tutte queste sono storie incredibili dotate di personaggi, di intreccio, di metafore avvincenti, che stimolano la passione delle persone: sono storie capaci di incoraggiarle, di metterle in connessione, di spronarle a esprimere il loro potenziale creativo.
Lo dicono anche Kotler, Kartajaya e Setiawan nel libro Marketing 3.0 che questa disciplina dovrà evolvere a una terza fase, quella emozionale e spirituale. «Per rivolgersi alla mente, al cuore e allo spirito dei consumatori, gli operatori di marketing devono riuscire a identificarne le ansie e i desideri. Nel paradosso della globalizzazione, le ansie e i desideri dei consumatori hanno a che fare con la volontà di fare del loro contesto sociale – e del mondo in generale – un posto migliore, forse anche ideale, in cui vivere. Le imprese che aspirano a diventare icone dei consumatori devono, dunque, condividere con loro lo stesso sogno e mostrare di fare qualcosa per realizzarlo».
Fare marketing sostenuti da filosofie profonde come il buddismo, la kabbalah o il cristianesimo, ma anche come la psicologia archetipica junghiana, ampiamente utilizzata nell’archetypal branding, significa passare dalla forza dei mezzi, dei budget e delle organizzazioni alla forza dell’anima. I veri leader dirigono con una “Grande Anima” e i grandi brand sono in grado con il loro esempio – quello che oggi chiamiamo storytelling – di motivare le persone e incoraggiarle all’azione. Un’azione vitale, vibrante, positiva, creativa.
Per questo dobbiamo trasformarci da marketing manager a sciamani, da consulenti a profeti, dei manager del senso, dei Chief Meaning Officer che sanno cavalcare le onde del cambiamento. La cravatta ce la siamo già tolta, ma spesso l’abbiamo fatto più per essere alla moda che con il desiderio di cambiare veramente. Ora immergiamoci profondamente nell’energia sociale con l’obiettivo di coglierne le frequenze più sottili.
Ci vogliono sensibilità e cultura. Ci vuole coraggio e il desiderio profondo di compiere scelte in funzione dell’evoluzione della vita. Il viaggio interiore che noi professionisti del marketing siamo chiamati a fare, per prima cosa dentro di noi, permetterà a una conoscenza superiore di emergere.
Che ne dite: partiamo insieme per questo viaggio?