Siamo in guerra! Dobbiamo ripartire dalla Pace
Parigi in questi giorni è la capitale del Mondo ma la pace da tanti evocata sta forse diventando il sogno più difficile da realizzarsi. Ma c’è un sogno che non può essere irrealizzabile: quello della speranza. Ed un segno di speranza lo si è avuto proprio poco tempo fa e, guarda caso, lo si è vissuto proprio in Italia.
A metà dicembre, nel quasi assoluto silenzio dei media nazionali, si è tenuto a Roma il Summit Mondiale dei Premi Nobel per la Pace, momento straordinario per chi come me ha avuto la fortuna di assistervi. Io ci tornavo per la terza volta consecutiva dopo essere stato all’edizione di Chicago del 2012 e di Varsavia del 2013, ma solo stavolta sono stato folgorato da una riflessione: perché ci siamo ridotti a riconoscere mondialmente il merito di chi promuove attivamente, con la propria esistenza, un valore che tutti invece naturalmente vorremmo per la nostra vita come quello della Pace? E la risposta è semplice: perché siamo in guerra!
Uno studio dello IEP (Institute for Economics and Peace) ha recentemente stilato l’elenco degli Stati più pacifici da cui emerge che oggi nel mondo sono solo 11 i Paesi che non sono coinvolti in qualche conflitto bellico: Svizzera, Uruguay, Costa Rica, Qatar, Cile, Botswana, Brasile, Vietnam, Giappone, Mauritius e Panama. Poiché però il parametro per valutare l’assenza da guerre di un Paese è quello della totale non partecipazione (quindi fornitura di armi e altri tipi di supporto logistico e militare a un conflitto che abbia causato almeno 25 morti in un anno), l’unico Stato veramente pacifico è la Costa Rica che ha rinunciato del tutto alle proprie forze armate.
Carl J. Jung era solito dire che “Non vediamo le cose come sono ma vediamo le cose come siamo”. Se Jung avesse ragione, come credo, allora forse la soluzione è molto più vicina di quanto si possa immaginare perché la responsabilità della situazione attuale, che ci induce a premiare con un Nobel chi afferma il valore della Pace, non è poi così tanto lontana da ciascuno di noi. È fantastico! Noi siamo il problema ma anche la soluzione. Si tratta ora di prendersi questa responsabilità e, restando con Jung, “rendere cosciente il proprio inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la nostra vita e noi lo chiameremo destino”.
Io mi sono fatto un’idea: la situazione fuori di noi, nel mondo, non è altro che una riflessione della situazione interiore dell’essere umano, quindi di tutti noi messi insieme. Non c’è quindi possibilità di risolvere fuori di noi quello che l’individuo non è prima capace di risolvere dentro di sé, e l’essere umano non solo si logora combattendo internamente le stesse battaglie che già combatte contro i suoi nemici fuori di sé, ma è spesso in conflitto perfino con se stesso. La creatività e la capacità di astrarre sono le caratteristiche che rendono l’uomo diverso dalle altre specie che abitano questo Pianeta , e lo rendono anche unico per la sua capacità di plasmare il mondo in cui viviamo. Questo però può avvenire migliorandolo, peggiorandolo o perfino distruggendolo, e le guerre plasmano distruggendo e non costruendo.
Allora la riflessione si dovrebbe defocalizzare per un istante dal problema del conflitto bellico (che è solo l’effetto) per focalizzarsi sulla causa che ne è all’origine: cosa ci induce a combattere? Per quanto riguarda i conflitti bellici Camilla Schippa, direttrice dello Iep, ha dichiarato che il peggioramento della situazione delle guerre nel mondo dipende soprattutto dalla crisi economica globale. E per le guerre dentro di noi? L’uomo, nel corso della sua vita, in quasi tutti i campi in cui ci si manifesta, è più spesso esposto alle dinamiche del conflitto piuttosto che a quelle della Pace. Il principio “mors tua, vita mea” regna in tutti i settori, dallo sport alla politica, dalle relazioni sociali a quelle di business, in ufficio, al semaforo, in famiglia, nelle assemblee condominiali, allo stadio. E la cura e diffusione dell’etica o semplicemente del buon senso sono spesso relegate a mondi dove regnano la morale e il dogmatismo.
Il Dalai Lama, in occasione del Summit di Roma ha rilasciato una dichiarazione dirompente per gli antichi schemi del nostro comune pensiero: “Nonostante la sua importanza come guida morale capace di dare un senso alla vita, nel mondo laico di oggi la religione da sola non è più adeguata quale base per l’etica. Dovremmo trovare un approccio etico alla mancanza di valori che possa essere accettabile da chi ha fede e chi non ne ha. È di un’etica laica che parlo. Valori interiori da trasmettere attraverso l’istruzione”.
In tutti i campi della nostra vita c’è bisogno di tornare a un sistema di valori condiviso, insegnato (soprattutto insegnato!), e poi incarnato nella società civile. E mentre aspettiamo tutti che la Politica si adegui convertendosi a questa necessità civica e che la religione si sappia rinnovare nelle sue forme e nei suoi messaggi, io penso alla responsabilità che in tal senso debbo prendermi come individuo con tutti gli abiti che indosso (cittadino, padre, marito, manager) perché credo fortemente in ciò che anni fa sentii affermare al Dott. Patrizio Paoletti: Le aziende, oggi, hanno quindi un compito essenziale da recitare nella società civile: essere modello di questo cambiamento. Vi credo perché, esattamente come quando Gandhi affermò “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, questa affermazione rimette nelle mie mani la responsabilità di quanto accade nel mondo.
Tralasciando per un istante la dimensione civica e quella familiare (che sono troppo personali per essere oggetto di un mio pensiero espresso in questo contesto) voglio però lanciare una provocazione circa la dimensione aziendale. La storia moderna sta seriamente rimettendo in discussione tutto il modello capitalistico che ha caratterizzato l’ultimo secolo, soprattutto il modo in cui è stato attuato, trasformando l’essere umano da fine a mezzo. Le aziende, oggi, hanno quindi un compito essenziale da recitare nella società civile: essere modello di questo cambiamento, divenendo col loro operato motore della diffusione di una nuova etica laica, e quindi conferma di questa possibilità. Dico le aziende e non i singoli cittadini o gli Stati perché la dimensione dei primi è troppo frammentaria e quella dello Stato è troppo lenta. Le aziende, piccole o grandi che siano, Spa, Srl o semplici partite Iva, sono i luoghi di aggregazione, condivisione, orientamento e educazione più frequentati dalla popolazione. E proprio fra aziende ci potrebbe impegnare a diffondere un approccio ‘coopetitivo’ al business in cui il giusto mix tra competizione e cooperazione dovrebbe generare un vantaggio per il singolo ma al contempo anche per l’insieme.
Ultima istanza che ci riguarda tutti è proprio l’istruzione a cui andrebbe delegata in principio la trasmissione dei valori fondanti l’etica laica. “L’unica via per la costruzione di un mondo di pace è l’educazione – ha affermato il Dalai Lama – perché è l’unico strumento in grado di restituire all’uomo quei valori fondanti della sua natura che sono la compassione e l’attitudine al bene degli altri. La nostra capacità di costruire la pace è strettamente legata alle nostre emozioni. Il discrimine tra violenza e non violenza, tra pace e guerra, è nella nostra mente. È da lì che nasce tutto”.
Sarebbe quindi di grande utilità se oggi si investisse maggiormente sulla ricerca in discipline come le neuroscienze e le forme più evolute di psicologia e pedagogia perché consentirebbero all’uomo di approfondire la conoscenza del meccanismo di funzionamento del proprio cervello e delle proprie emozioni. L’auspicio è quello di avviare un programma di istruzione di tipo laico, che parta dalle scuole e continui nelle aziende, che sostenga gli individui in un percorso di conoscenza del Sé, alleggerendolo dall’effetto di una morale che per secoli ci ha precluso la conoscenza dei processi che governano il funzionamento delle nostre emozioni e dei nostri pensieri, relegando unicamente a un presunto ‘destino’ tutte le nostre aspirazioni. Tutto questo credo che aiuterebbe la costruzione di una responsabilità allargata e condivisa, che trascenderebbe l’inusitata lentezza ad aggiornarsi dei poteri religiosi e di quelli temporali, e quindi laica, purché a svantaggio di un individualismo che ha ormai mostrato tutti suoi limiti nella distribuzione di ricchezza e benessere. “L’individualismo – prosegue il Dalai Lama – è contro la natura umana mentre le emozioni positive quali compassione, empatia, amore ci fanno chimicamente e biologicamente bene. Perché non insegnarlo ai nostri bambini sin dai primi anni d’età e continuare a coltivarle da adulti attraverso un percorso di educazione permanente?”
Oggi il mondo è tutto proiettato all’esterno, fuori, e poco tempo e poco spazio sono dedicati al mondo interiore e ai valori che lo reggono. Da qui scaturisce un mondo quasi totalmente privo di valori morali condivisi e orientanti. “Questo – afferma sempre Paoletti – ha come diretta conseguenza un individualismo imperante che non ci permette di guardare alle nostre differenze e al bene degli altri come ad una ricchezza”.
La “Preghiera Semplice” di San Francesco è un eccellente guida per chi, in un momento di guerra, vorrebbe incarnare nella propria vita il modello di cambiamento così come ci spronava a fare Gandhi. Entrambi dei grandi laici.
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
Dove è odio, fa ch’io porti l’Amore,
Dove è offesa, ch’io porti il Perdono,
Dove è discordia, ch’io porti l‘Unione,
Dove è dubbio, ch’io porti la Fede,
Dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
Dove è la disperazione, ch’io porti la Speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la Gioia,
Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto
Ad esser consolato, quanto a consolare,
Ad esser compreso, quanto a comprendere,
Ad esser amato, quanto ad amare.
Poiché
Sì è:
Dando, che si riceve;
Perdonando, che si è perdonati;
Morendo, che si risuscita a Vita Eterna.
Leggo Francesco e immediatamente mi dico: io devo portare Amore non solo fuori di me ma anche in me stesso perché in me c’è ancora odio, e così devo fare con il Perdono perché in me c’è ancora offesa, con l’Unione perché in me c’è ancora discordia, con la Fede perché in me c’è ancora dubbio, con la Verità perché in me c’è ancora errore, con la Speranza perché in me c’è ancora disperazione, con la Gioia perché in me c’è ancora tristezza, con la Luce perché io stesso sono spesso ancora nelle tenebre. Ma una cosa è certa: la Pace dipende da me.
(foto di Gian Luca Bianco)