Mondo della ricerca e imprese non si parlano (o si parlano troppo poco). Dal dialogo può ripartire il Paese
Per decenni in Italia sono stati spesi molti soldi per fare convegni nei quali, latitanti gli imprenditori e presenti solo ricercatori e stuoli di consulenti, si stigmatizzava l’incapacità dei ricercatori di dialogare con le imprese. Molto è stato fatto per convincere questi ultimi a trasformare i risultati di ricerca in prodotti industriali e per far sì che fossero capaci di negoziarne la vendita. Molto è stato fatto per individuare i bisogni inespressi di innovazione delle imprese, ma nulla è stato fatto invece per insegnare alle imprese come e dove trovare risultati di ricerca utili per la propria innovazione.
Presente in quasi tutti i Paesi europei, il gap di innovazione tecnologica però è diventato e diventa sempre più drammatico in Italia. In altri luoghi infatti le grandi aziende guidano l’innovazione verso il loro indotto di fornitori, mentre il nostro Paese resta caratterizzato da una moltitudine di piccole imprese frammentate e – nonostante gli sforzi fatti con i distretti più o meno tecnologici – poco collaborative.
In questa situazione la distanza tra risultato di ricerca e sua applicazione industriale diventa enorme, anche perché in molti casi l’inventore non immagina neppure lontanamente quali potrebbero essere gli usi industriali della sua invenzione. L’esempio più chiaro è il laser, di cui due anni fa si è celebrato il cinquantenario: a domanda, l’inventore rispose che non sapeva assolutamente a cosa poteva servire!
Normalmente sono le imprese che, venendo a conoscenza di novità, possono contattare il ricercatore per verificare l’applicabilità di un’invenzione alle proprie esigenze. Ma dove vanno le imprese a cercare le novità? Tutti i tentativi di fare fiere tecnologiche sono falliti, con il problema anche qui della partecipazione industriale.
Dopo tanti proclami sulla necessità di trasferire di più dalla ricerca di base all’industria, ancora oggi non esiste in Italia una Guida Monaci della ricerca né delle imprese, ognuno ha il suo database (reinventato da ciascuno e che naturalmente non può dialogare con gli altri) e, nonostante la buona volontà degli uffici di trasferimento tecnologico di Università e organizzazioni di ricerca, siamo ancora daccapo.
Nessuno ha mai voluto investire seriamente nel trasferimento tecnologico e di conoscenza.
I soldi vengono dati alle imprese (pochi e sempre alle stesse, che lavorano sempre con gli stessi sulle stesse cose…) e non alle strutture di ricerca che dovrebbero essere messe in condizione di proteggere le invenzioni e sperimentare in casa possibili applicazioni per avere cose concrete da offrire all’industria, superando la tradizionale diffidenza nei confronti del nuovo che caratterizza il nostro Paese da sempre e che ha penalizzato tanti, da Leonardo a Galileo, da Marconi a Meucci, fino ai tanti che oggi sviluppano tecnologie avanzatissime fuori dai nostri confini.
È giunto il momento di cambiare questa situazione, mettendo in atto soluzioni concrete che possano finalmente creare meccanismi efficienti di trasferimento tecnologico.