Innovare significa soprattutto imparare. Come gestire la propria formazione e in-formazione tra web e social
Tutto merito di Wayne Westerman. Grazie alla sua tesi di dottorato sulla tecnologia “capacitiva” tutti noi oggi possiamo usare lo schermo multitouch dell’iPhone. Da quel lavoro nacque infatti una startup, FingerWorks, acquistata nel 2005 dalla Apple.
Eppure non tutti lo sanno: la società fondata da Jobs non fu la prima a realizzare uno smartphone a schermo sensibile al tocco. Così come Google Search non fu il primo motore di ricerca al mondo.
Solitamente uso questi due esempi quando parlo del rapporto fra la famosa “invenzione geniale” e il processo di innovazione reale. Sempre più spesso il successo nel business nasce infatti da applicazioni di tecnologie e competenze in altri settori.
Eppure il mondo della comunicazione abusa dello stereotipo dell’idea geniale, dell’invenzione da garage, della “innovazione a portata di tutti”. Se però andiamo ad analizzare le startup che producono utili, scopriamo che sono quasi tutte avviate da persone con un’ottima cultura, una competenza fortemente specialistica e una significativa esperienza maturata sul campo.
E ci sono anche casi estremi ma che comunque confermano l’importanza dell’esperienza. Per esempio Cesare Cacitti, che a otto anni si è innamorato delle stampanti 3D e si è messo a studiarle, approfondendo vari aspetti tecnici tanto da crearne una tutto da solo nel 2012, all’età di 13 anni.
«La vera innovazione in questo periodo è l’eccellenza: fare le cose bene». Me lo ripete spesso Valentino Pediroda, cofounder di modeFinance, una startup che, come molte altre che conosco personalmente, è nata da una tesi di laurea di dottorato. Forse non è un caso. Per innovare diventa quindi fondamentale da un lato incrementare le proprie competenze tecniche e dall’altro saper cogliere le opportunità di contaminazione fra settori diversi. Data per scontata una formazione specifica, spesso mi chiedono se la comunicazione digitale possa favorire queste due condizioni. La risposta è sì.
Da anni uso quotidianamente il web come primaria fonte di aggiornamento professionale. Il metodo, in sintesi, è molto semplice:
- Individuazione delle tematiche specifiche di interesse (anche settoriale): minimo tre, massimo cinque.
- Monitoraggio di massa fatto con strumenti semplici come Google Alert (impostato sulle parole chiave), ricerca nei social media (social search), magari iniziando da Twitter utilizzando sistemi di alert e gestione come Tweetdeck, e social monitoring con uno o più strumenti come questi.
- Monitoraggio mediato: elencare le principali fonti online che trattano le parole chiave tra siti di informazione e blog, comunità di pratica, associazioni e affini. Per ognuna di esse, individuare la forma migliore di lettura o accesso (iscrizione al blog o newsletter, follow su Twitter, eccetera).
- Monitoraggio mirato: individuare i massimi esperti della tematica e accedere alle loro informazioni (post vari, tweet).
Potrebbe esser utile, in un secondo momento, utilizzare un sistema integrato di monitoring e valutare l’avvio di un’attività di content curation: diventare cioè un punto di riferimento nel settore, avendo la cura di selezionare e offrire ai propri lettori i migliori contenuti in merito.
Credo infine che il web possa essere un ambiente assolutamente finalizzato alla nascita di nuove idee applicative, grazie alla contaminazione e allo scambio di esperienze con altri utenti, esperti o meno. Spesso però ci lamentiamo della mole di “contenuti spazzatura” presenti sui social network.
Ecco alcuni consigli:
Liste su Twitter. Sono poco utilizzate ma rappresentano uno strumento fondamentale. Non è difficile crearle: l’aspetto più importante invece è segmentare al meglio gli utenti, sulla base della profilazione del proprio obiettivo di business. Fatto questo, basta creare una lista diversa per ogni gruppo di target. Il mio caso? Io monitoro continuamente 5 contatti: gli insediati del Parco Scientifico dove lavoro, gli imprenditori, gli startupper, i ricercatori, i referenti istituzionali (ministeri, regioni, ecc.).
Facebook. Anche qui ci sono le liste. Un altro consiglio è quello di selezionare i migliori gruppi dove vengono trattati gli argomenti di nostro interesse. Il caso forse più interessante è Indigeni Digitali, comunità nata online e formata da migliaia di utenti che si ritrovano spesso agli eventi, si scambiano idee, creano progetti, formano team di startup.
Piano di relazioni. Leggere i migliori non basta, bisogna entrare in relazione con loro.
Qual è la vostra esperienza in merito?